S. ANDREA 2022

S. ANDREA 2022: CONVERSAZIONE: I SANTI ANDREA E SIRO TRADIZIONE E DEVOZIONE.

La festa di s. Andrea ha sempre offerto l‘occasione per far memoria di persone, luoghi e vicende legati alla storia della Chiesa locale non dimenticando che quanto è stato da essa vissuto ha avuto talora anche una qualche ricaduta nella realtà sociale e politica. Cerchiamo di conservare questo intento che la tradizione ci ha consegnato non passivamente, non solo con un desiderio conservativo ma consapevoli di un servizio umilmente reso a una storia che merita attenzione e che è degna di essere affidata al futuro.

Quest’anno rendiamo concreti quest’intenzione e questo desiderio rivisitando un testo un po’ datato, fu edito nel 1993 precisamente il 30 novembre, si tratta di un piccolo volume dal titolo: I Santi Andrea e Siro tradizione e devozione. La scoperta di questo scritto è raccontata nella presentazione di don Ermanno Segù, direttore allora della Biblioteca del Seminario, un direttore attento e rigoroso, (don Ermanno ci ha lasciato già da un po’ di tempo 29 aprile 2000) ma chi frequenta la biblioteca del seminario sente ancora aleggiare il suo spirito. Scrive don Ermanno: «Catalogando i libri stampati nel secolo XVI, qualche tempo fa, mi sono venute tra mano due operette esaltanti la nostra città di Pavia, riunite da un legatore del 1700 in un unico volume. Ma rigirando fra le mani quel volume, notai come un lieve rigonfiamento fra le due opere e fu così che vi scoprii inserito un fascicoletto dal titolo suggestivo “Dialogo fra S. Siro e S. Andrea. Mi sembrò subito un bellissimo richiamo: S. Siro patrono della nostra Chiesa pavese, S. Andrea patrono, da sempre, del nostro Seminario. Sono poche pagine raccolte con un intento di devozione. Il lavoro dedicato al vescovo di Pavia Fabrizio Landriani (1617 – 1637), è stato composto dal francescano fra ’ Bernardino da Casteggio. L’operetta composta nel 1628 è una simpatica testimonianza della devozione semplice ma viva che si nutriva in quel tempo verso questi due nostri patroni (soprattutto a s. Siro, a mio parere) È nato così il desiderio di far conoscere a tutti la piccola composizione ritrovata perché l’umile voce di fra Bernardino da Casteggio risuoni ancora una volta a sostenere la venerazione verso i due santi apostoli». Sono dunque protagonisti del poemetto due santi, uno legato alla diocesi tutta di Pavia (s. Siro) e un altro legato a un luogo, il Seminario che di una diocesi è e rimane il cuore. Rileggendo questa presentazione mi è venuta una domanda: si può trovare nel testo una specie di primato di attenzione che l’autore intende sviluppare? Cioè frate Bernardino vuole stimolare maggiormente devozione e venerazione verso s. Andrea o verso San Siro? La risposta mi pare chiara anzitutto dal titolo che l’autore alla sua composizione: Omaggio scritto per il Beato Siro primo Vescovo e patrono di Pavia. Dunque forse più che su s. Andrea l’autore si fa attento a raccontare di s. Siro per diffondere di lui conoscenza e culto. L’ipotesi può essere confermata anche dal fatto cha  alla fine della composizione troviamo un inno e una preghiera a s. Siro.

Ci chiediamo: Chi è fra Bernardino da Casteggio?  Lui si definisce: molto reverendo padre Bernardino da Casteggio dell’ordine dei minori della stretta osservanza di S. Francesco, un gruppo francescano riformato. Fra Bernardino da Casteggio in quell’epoca viveva qui a Pavia nel monastero di s. Croce annesso alla medesima chiesa. Monastero e chiesa si trovavano nella zona dove ora è collocata la casa di riposo Francesco Pertusati. Il discorso si farebbe lungo se ci fermassimo a parlare di questa realtà, sinteticamente diciamo che la chiesa madre era la Ecclesia Sancti Theodori martiris. La chiesa cambia denominazione quando il cardinale pavese Bernardino Lovati Cardinale dal titolo di s. Croce in Gerusalemme la assegnò ai frati minori osservanti nel 1476; essi rimasero a Pavia fino all’anno 1568 anno in cui furono sostituiti dai Frati riformati di s. Francesco, la comunità della quale faceva parte il nostro frate Bernardino. Qui i frati trascorsero circa due secoli di relativa tranquillità e di operosa attività ne scrive Pietro Scotti nel volume Santa Croce la Chiesa e il Monastero ora Casa di riposo Francesco Pertusati. In epoca Napoleonicail monastero venne soppresso nel 1810 e tutto il complesso (Chiesa e Monastero) passò in proprietà della cassa di Ammortizzazione a Milano ma la Congregazione della carità di Pavia si mise all’opera fin dal settembre 1811 riuscendo nel 1812 ad acquistare tutto per collocarvi i poveri invalidi mendicanti, la casa di riposo inizia proprio nel 1812.

Oltre all’”habitat” su frate Bernardino abbiamo anche qualche altra notizia, anche se si tratta di notizie abbastanza generali. Lo ricorda il Prelini nel primo e nel secondo volume della sua opera su s. Siro. Scrive il Prelini (C. Prelini, San Siro Primo Vescovo e Patrono della Città e Diocesi di Pavia. Studio Storico-critico, Pavia 1890; vol.II, p.457-458): «Se meno avverso avesse avuto il gusto dei tempi, non ispregievole verseggiatore sarebbe riescito il P. Bernardino da Casteggio, Minorita della stretta Osservanza di s. Francesco, del quale abbiam fatto già cenno nel primo volume a pag. 78[1]. È suo lavoro un «Dialogus In D. Syrum Primum Episcopum et Patronum Papiae …. cum Hymno, et oratione eiusdem B. Syri ad calcem addictis. — Ticini, apud Rubeum». La dedica al vescovo Fabrizio Landriani porta la data del primo dicembre 1628. Questo dialogo pastorale si fìnge in una selva tra Siro e l’Apostolo s. Andrea, il quale, ampiamente raccontata la moltiplicazione dei pani, predice al santo l’apostolato in Pavia. È un centone raffazzonato con versi e pensieri di Virgilio, non senza gli indispensabili intingoli del Seicento. Più fortunato del Dialogo fu l’Inno Saffico, che lo segue, avendo avuto l’onore di altre tre edizioni almeno». Interessante l’aggiunta che il Prelini fa più avanti: «Nè solo versi, che pur troppo sentono tutto lo spavento del funesto morbo, inspirò la peste del 1630: ma rincorò anche gli oratori, e tra questi il ricordato padre Bernardino da Casteggio , a ricorrere a s. Siro. Fu stampato diffatti allora il «Discorso Spirituale alla regal Città di Pavia nelli presenti travagli di peste e d’ altri grandi pericoli, nel quale si discorre della protettione e lodi del suo primo Vescovo et principal protettore s. Siro , composto dal M. R. Fra Bernardino da Schiateggio Theologo dell’ Ord. dei Min. Osservanti riformati et Lettore nel Monastero di s. Croce nella stessa città — Pavia, heredi de Rossi, 1630».

L’ autore, con gran rumore di frasi, indica s. Siro quale medico abilissimo per guarire la peste ed invita i pavesi a confidar in lui. Ricorda il patrocinio del santo contro Alboino; rammenta che esso ha « divertito sanguinolenti guerre , estreme penurie, inondatione, tempeste, fulmini, terremoti, morti repentine, et altri gravi flagelli, che si convenivano (o Pavia) a tuoi peccati. Quante volte fu veduto sopra i baluardi delle tue mura scacciare i nemici, come ne fanno testimonianza le palle di ferro appese alla antica sua immagine nel Duomo? Onde ei può appropriare a se medesimo quello, che sta scritto in Isaia: «Muri tui coram oculis meis semper». Rivoltosi poscia a Pavia, così la scongiura: «Ricorri a quella sacra Tomba ove riposa il prezioso tesoro di quell’ ossa venerabili, che furono già vivo tempio dello Spirito Santo …. Assicurati, Pavia, che quello contagio sparso da homini sederati non è altro che un calice di veleno che t’ha mescolato il Signore; ad altro non hanno servito che per coppieri in porgerti la coppa del Signore. Iddio te l’ha mandata, et essi te l’ hanno portata; essi pretesero la tua distruttione , Iddio pretende la tua emendatione».  Passarono le calamità ed i terrori della pestilenza;». (C. Prelini, San Siro Primo Vescovo e Patrono della Città e Diocesi di Pavia. Studio Storico-critico, Pavia 1890; vol.II, p.457-458)

Un ritratto confermato da altre fonti ma che il tempo ci fa tralasciare[2].

Dedichiamo in conclusione qualche minuto al nostro scritto: Chiara la sua struttura: un indirizzo elogiativo al vescovo Fabrizio Landriani, segue la presentazione in prosa dell’argomento del dialogo e a seguire in versi esametri il dialogo tra Siro e Andrea, un dialogo che lascia subito il posto al lungo monologo dell’apostolo Andrea, in conclusione un inno e una preghiera a s. Siro.

Il tono fondamentale del poemetto è quello dell’interiorità, dell’intimità, del sentimento.

La collocazione in ambiente naturale, forse oggi si potrebbe dire ecologico, del poemetto trova un preciso riflesso nella corrispondenza con il personaggio  o con la situazione interiore che viene descritta; in altre parole anche la natura diventa quasi personaggio vivente in perfetta sintonia con il tipo di persona che rappresenta e così il dialogo iniziale tra i due protagonisti, due figure sante e celestiali non po’ che avere il contorno di un paesaggio sereno luminoso, leggo un breve passaggio.« Siro: Oh solchi assai felicemente percorsi dall’aratro! Oh, pianta di orzo affidata alle zolle ridenti! Oh, messe! Oh, care spighe della patria terra! un giorno voi mi deste, quali doni preziosi, cinque pani (sempre bisogna ricordare questo giorno eterno ed indimenticabile). Oh, pesci nati dal mare fecondo di Galilea e da questo offerti a Cristo sulla spiaggia galilaica! Andrea: O Siro, mia corona, come mai nei boschi? Quale oscura preoccupazione ti ha portato gemente tra gli ombreggiati rifugi delle selve e dei boschi? Cosa sono queste tue lacrime? E quali sospiri non colti dal vento (ma io li ho sentiti) spezzano le parole iniziate? Mentre giungevo or ora dal vicino colle ho sentito grandi sospiri rompere i boschi ondeggianti.».

In quest’ottica risalta anche la descrizione tutta bella della città di Pavia. «Esiste un’antica città felice per il suolo e piacevole per il clima, nella quale scorrono fiumi di latte e i fiumi fanno scorrere nettare nelle onde, le fonti offrono miele, una terra ricchissima di frutti: è la città di Pavia, situata nelle pianure soleggiate degli Insubri. Qui potrai ammirare i soli primaverili, i prati ridenti di erbe verdeggianti e pendere dalle viti uve colorate e rami carichi di gemme che si gonfiano sugli alberi e le messi tagliate che saziano gli affamati coloni. Ancora potrai ammirare grasse mucche e mandrie di giovenchi che, sporgendo dai cespugli lambiscono le rive del fiume e tori che protendono le lunghe corna ed infine nell’ampia campagna il gregge lanuto. Vedrai, dunque, questa famosa città che innalza le torri minacciose al cielo quasi eguagliandole ad esso ed eleva la sua possente mole fino alle stelle;… Qui ti chiama il volere divino. Tu, come vescovo, sarai mandato in questa città e sarai consacrato pastore di un così consistente gregge».

Diversamente quando sono chiamati in causa un personaggio o una realtà negativa anche l’”habitat” naturale è connotato da negatività; un esempio che non si dimentica facilmente è la descrizione dell’invidia: «C’è un luogo antro orrendo di funesto squallore, antro immenso, grande, deforme, ricoperto di melma palustre: è la casa tenebrosa dell’invidia. Qui lei siede girando intorno gli occhi tristi, pallida con il volto pieno di rughe, ha le chiome serpentine spettinate, la lingua, cosparsa di veleno, e gonfia, i denti rari sono di colore rosso paonazzo per la ruggine, le erbe velenose di aconito tritate sono il suo misero cibo e sotto i denti tremano i serpenti dilaniati. Il riso è assente se non quello che produssero i dolori di ciò che si vede, assente è il sonno se non quello che i lutti, le lacrime, i gemiti instillano, con rauco sussurro, negli occhi iniettati di sangue. Piange se ridi, ride se piangi fatti dolorosi. Ella è tormento a sé stessa. Fa girare i crudeli pungiglioni intingendoli nel proprio sangue.

Qui si affretta il signore dell’Inferno e da lontano così parla: ” O regina, mia consorte nei dolori,».

Il monologo profetico dell’apostolo Andrea che occupa la parte centrale del carme descrive la futura elezione di Siro a vescovo di Pavia, il suo arrivo in città, la sua azione evangelizzatrice, soffermandosi particolarmente sui miracoli da lui compiuti. È un racconto preciso di quanto il primo santo vescovo pavese ha compiuto con puntuali riferimenti alla sua predicazione, all’amministrazione del sacramento del battesimo, ai segni con i quali il cristianesimo si concretizzava in una viva esperienza di chiesa: «da una piccola altura rivolgi la parola alle folle che stanno attorno e a loro riveli queste realtà mistiche: il Dio venerabile uno e trino, il Figlio che discese dal cielo-.. (la storia della salvezza) mentre dici tali verità, tutta la piazza risuona di grida che feriscono il cielo.. non si perde tempo i presenti domandano di essere immersi nel sacro battesimo.. tu aspergi con il nuovo lavacro le teste inclinate e deponi nel cuore gli altissimi fondamenti dell’eterna fede che possano sempre crescere nel corso del tempo…gli ammalati a gara cercano di toccare le sacre vesti, i corpi consumati mettono in fuga le febbri e le malattie si disperdono nel vento..».

Una domanda conclusiva ci possiamo fare: È tutta e solo un un’opera di esaltazione, di elogio, di celebrazione di un santo? Certamente sì, ma il Magnificat finale del Frate Bernardino [così si esprime s. Andrea nella chiusa del poemetto: «E’ proprio così caro figlio. Il povero è diventato grande per colui che sta in cielo…Così conosci che Dio ha disprezzato i palazzi opulenti e ha apprezzato le cime di un vile tugurio; così Dio dall’alto dei cieli disdegna i superbi ed innalza gli umili e così spezza i colli gonfiati.] sembra quasi voglia condurre il lettore a prendere coscienza di una regola d’oro della vita cristiana che apre per tutti la via alla santità: Dio ha scelto e sceglie coloro che sono piccoli per compiere le grandi opere della fede. Come concludevo la prefazione dl 1993 così concludo la nostra familiare conversazione. «Un dialogo poetico, dunque, che pur richiedendo al lettore un po’ di sensibilità per questo genere letterario, progressivamente lo conquista e alla fine della lettura egli è coinvolto per non dire “ammaestrato” in una sapienza che non ha perso la sua attualità».


[1] «Dal P. Bernardino da Casteggio è pure stato pubblicato un dialogo in forma di egloga col titolo : In D. Syrum primum Episcopum et Patronum Papiae Dialogus. È un centone virgiliano, ove si mettono in iscena S. Siro e S. Andrea apostolo a discorrere del miracolo dei cinque pani e dei due pesci, e dove S. Andrea si fa a predire a S. Siro la missione a Pavia e negli altri paesi circonvicini. È un poemetto latino non indegno di uno studioso imitatore del mantovano poeta, ma nulla avrebbe a guadagnare la storia da esso. È dedicato a monsignor Fabrizio Landriani vescovo di Pavia. In fine si trova l’inno saffico che qui si cita». C. Prelini, San Siro Primo Vescovo e Patrono della Città e Diocesi di Pavia. Studio storico-critico, Pavia 1880, vol.I, p.78.

[2] 1630. Il dotto sacerdote Don Cesare Prelini (0 dice che nel 1630 non solo il funesto morbo della peste inspirò a far versi, bensì anche la fiducia grandissima che si aveva in San Siro, quale protettore della diocesi pavese, spronò a rivolgersi a lui. Così il padre Bernardino da Casteggio, frate Minore Osservante di San Francesco, che poteva divenire una vera gloria poetica di Casteggio, perché avrebbe potuto riuscire un buon verseggiatore se non avesse avuto contro di lui il pessimo gusto dei tempi, fino dal 1628 aveva scritto un dialogo pastorale nel quale fa parlare S. Siro e l’Apostolo S. Andrea, ed appunto nel 1630 compone un Discorso spirituale alle regal città di Pavia nelli presenti travagli di peste e d’altri grandi pericoli ecc. Stampato in Pavia dagli eredi Rossi nel 1630. L’autore con gran rumore di frasi invita i pavesi a confidare in San Siro. Del Padre Bernardino da Casteggio si ha anche un inno in metro saffico, che comincia hanc tibi laudis modulamur hymnum. Il padre Bernardino da Casteggio era teologo e lettore nel Monastero di Santa Croce di Pavia. Citato da A. Cavagna Sangiuliani, l’Agro Vogherese, Memori Sparse di STORIA PATRIA, vol. II p. 525-526, Casorate Promo 1890.

Degno di nota anche quanto afferma il P. Andrea Merli nel suo scritto: Vita del Beato Bernardino da Feltre, Pavia 1918. P. «Sulle tracce, pertanto, di tai chiarissimi Scrittori principalmente, imprendo a scrivere la vita di questo Eroe, della cui fama alto risuonò nel secolo quintodecimo l’Italia tutta…… La sola, [vita] che meriti di esser letta senza molta ritrosia, è quella del P. Bernardino da Chiasteggio, che la produsse in ottavo l’anno 1651, riprodotta poi coll’aggiunta del Culto di esso Beato dal P. Innocenzo di Pavia l’anno 1664., della quale in gran parte io mi servirò, senza però mai deviare dai predetti Bollandisti». Si ricorda che intorno al 1733 circa la salma del beato Bernardino da Feltre “per causa di guerra” fu trasportata dal Monastero di s. Giacomo nella chiesa più sicura di s. Croce.

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